mercoledì 14 agosto 2019

La mobilità territoriale volontaria dei dipendenti di poste italiane: criticità e strumenti legali di tutela

 
La mobilità territoriale del personale assunto alle dipendenze del cosiddetto parastato o di pubbliche amministrazioni rappresenta un tema delicato dal momento che coinvolge interessi assai rilevanti ma, spesso, di segno opposto. Infatti, se da un lato l’azienda o la pubblica amministrazione datrici di lavoro hanno l’esigenza di strutturare la propria organizzazione nei termini ritenuti più funzionali al raggiungimento degli obiettivi, dall’altro lato i lavoratori legittimamente anelano, per le più svariate ragioni (familiari, lavorative etc.), a prestare la propria attività in una determinata sede piuttosto che in un’altra.
ASSUNZIONE – All’atto dell’assunzione, il lavoratore viene inquadrato in una determinata qualifica contrattuale (da cui discendono le mansioni ad esso attribuite e, quindi, la retribuzione) ed “incardinato”, per un tempo prefissato (nel caso di contratto a tempo determinato) o potenzialmente senza limiti di durata (nel caso di contratto a tempo indeterminato), nell’organizzazione aziendale con la contestuale assegnazione di una sede di lavoro e la fissazione dell’orario della prestazione lavorativo (a seconda dei casi, a tempo pieno o a tempo parziale).
COSA SI INTENDE PER MOBILITA’ TERRITORIALE – La sede di lavoro assegnata al momento dell’assunzione può cambiare nel tempo o per rispondere ad una volontà del datore di lavoro o, all’opposto, per rispondere ad un preciso desiderio del lavoratore. Se si analizza quindi tale dinamica nell’ottica del lavoratore, nel primo caso si userà l’espressione di mobilità territoriale involontaria (cioè non voluta né richiesta dal lavoratore ma imposta da esigenze aziendali), mentre, nell’altro caso, si parlerà di mobilità territoriale volontaria (cioè a richiesta del lavoratore).
LA DISCIPLINA DELLA MOBILITA’ TERRITORIALE VOLONTARIA IN POSTE ITALIANE – E’ contenuta nel CCNL Poste Italiane del 30 novembre 2017 e nel successivo Accordo del 21 marzo 2019 sulla mobilità cosiddetta nazionale nonchè, per gli ambiti regionale e provinciale, in una miriade di accordi stipulati su base decentrata (cioè a livello locale). Sul piano generale, il trasferimento del lavoratore può essere disposto, compatibilmente con le esigenze organizzative aziendali, a domanda del lavoratore interessato. Nell’accoglimento delle domande di trasferimento, in presenza di più richieste per la stessa sede di lavoro, si dovrà tener conto, nell’ordine: – dell’anzianità di servizio; – dei carichi familiari; – delle necessità di studio del dipendente e/o dei suoi familiari (art. 38, commi 13 e 14, CCNL Poste Italiane). Tali principi generali sono tuttavia stati oggetto di ulteriore specificazione con il menzionato accordo del 21 marzo del 2019 che ha disciplinato una articolata procedura i cui step fondamentali possono essere così riassunti:
– il lavoratore che intenda trasferirsi ha l’onere di inserire entro un determinato termine (per il 2019 è stato indicato il 15 aprile) la propria richiesta sulla piattaforma telematica approntata dall’azienda indicando un’unica sede di preferenza;
– l’azienda raccoglie quindi i dati e li elabora stilando una graduatoria (tendenzialmente entro il 19 aprile) per ogni sede e per ogni profilo di inquadramento contrattuale tenendo contro dei criteri specificati nell’accordo medesimo;
– i lavoratori utilmente collocati in graduatoria potranno viva via verificare, attraverso la consultazione della predetta piattaforma telematica, i posti che l’azienda dovesse rendere disponibili su una determinata sede (provincia) e, nel caso, procedere ad effettuare la scelta dei singoli uffici postali ritenuti di maggior gradimento;
– infine, in virtù del meccanismo di scorrimento delle singole graduatorie vengono quindi determinati i trasferimenti (ad esempio se per una determinata provincia e per un determinato profilo di inquadramento sono messi a disposizione 4 posti, i trasferimenti saranno in numero uguale e i lavoratori beneficiari saranno identificati attraverso lo scorrimento della graduatoria e si terrà conta anche di eventuali rinunce sopraggiunte medio tempore).
INDIVIDUAZIONE DEI POSTI VACANTI – Il sistema sommariamente descritto si rivela tuttavia inidoneo allo scopo che teoricamente l’azienda ed i sindacati dichiarano di voler raggiungere (e, cioè, quello di disciplinare in modo trasparente la mobilità territoriale al fine di rispondere in termini effettivi a reali e stringenti esigenze dei lavoratori). Anzi, a ben guardare, si rileva uno strumento di cui l’azienda si dota al fine di meglio potersi difendere nel caso di eventuali controversie azionate da lavoratori scontenti. E ciò con la incredibile ed inopinata sostanziale collaborazione delle organizzazioni sindacali le quali, consapevolmente (come noi riteniamo) o inconsapevolmente, prestano il fianco a tale operazione. Il sistema creato si rivela dunque inidoneo allo scopo poiché contiene al proprio interno un evidente corto circuito logico. Non è prevista infatti alcuna regolamentazione dei criteri sulla base dei quali l’azienda è chiamata a definire i posti vacanti e quindi disponibili per la procedura di mobilità né, tantomeno, relativamente alle modalità ed al timing secondo cui dovrebbe renderli noti. Non è previsto, quindi, che l’azienda dichiari la propria “pianta organica” e non è previsto alcun criterio in virtù del quale definire le modalità con cui l’azienda soddisfa il proprio fabbisogno di personale. Non v’è chi non veda, infatti, come la mancata regolamentazione di tale profilo renda, di fatto, “carta straccia” l’intero accordo sindacale dal momento che l’azienda rimane libera di operare come meglio ritiene e ciò evidentemente anche in spregio agli interessi ed ai diritti dei lavoratori. Basti un esempio per comprendere ciò che si vuole sostenere. Poniamo caso che per il profilo di “specialista consulente finanziario” sulla provincia di Milano ci siano complessivamente 20 posti vacanti: un sistema chiaro, trasparente e funzionale dovrebbe quindi consentire il potenziale trasferimento di 20 lavoratori. Ed invece non è affatto così ed il perché è presto detto: basta che l’azienda non inserisca nella piattaforma telematica alcun posto disponibile (nonostante ve ne siano 20) e nessun lavoratore verrà trasferito! E’ evidente, pertanto, come la reale tutela dei lavoratori transiti necessariamente dall’elaborazione di regole stringenti circa la definizione del fabbisogno organico e, di conseguenza, dei posti disponibili al trasferimento. Se un accordo collettivo non definisce questo profilo, non è idoneo allo scopo. Anzi, peggio: si rivela un bluff, una sostanziale presa in giro dei lavoratori.
IL PRIMO PARADOSSO – Paradossalmente, il sistema elaborato dalla contrattazione collettiva, lungi dal costituire una tutela, finisce per complicare la vita al lavoratore. Persino l’assenza di un accordo collettivo rappresenterebbe, nell’ottica del lavoratore, una situazione più agevole. Ed infatti la Giurisprudenza è ormai chiara nell’affermare che: «la richiesta del lavoratore di essere trasferito in un’altra sede di lavoro deve essere valutata dal datore di lavoro nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c. tenendo conto che la buonafede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del “neminem laedere”, trovando tale impegno solidaristico il suo limite unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto pertanto al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte sino a che essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico; ne consegue che deve ritenersi illegittimo il diniego opposto dal datore di lavoro, in violazione di tali obblighi, alla domanda di trasferimento del lavoratore (nella fattispecie è stato ritenuto contrario al dovere di correttezza e buona fede e, quindi, illegittimo il rifiuto opposto dal datore di lavoro alla domanda di trasferimento del lavoratore – motivata da esigenze di carattere familiare meritevoli di tutela – da Milano a Catania, sul rilievo che il datore di lavoro, avendo proceduto in concomitanza della domanda di trasferimento a nuove assunzioni nella sede di destinazione per le stesse mansioni e qualifiche del lavoratore interessato, avrebbe potuto procedere al trasferimento richiesto senza alcun apprezzabile sacrificio)».
IL SECONDO PARADOSSO – Altro paradosso è rappresentato dalle continue e numerosi assunzioni per ogni profilo previsto dalla pianta organica aziendale. Se dare lavoro ad un soggetto disoccupato è sicuramente un fatto importante e positivo, non si comprende però perchè ciò debba avvenire a discapito della mobilità territoriale dei lavoratori già in servizio. Un sistema coerente, infatti, dovrebbe prevedere che i posti liberi vengano in prima battuta resi disponibili per la mobilità e solo dopo, una volta effettuati tutti gli “spostamenti” del personale già in servizio, si proceda ad assumere nuovo personale sulle sedi rimaste libere. Ad ogni buon conto, la circostanza che l’azienda proceda con nuove assunzioni può rappresentare un elemento di prova (indiretta) circa la sussistenza di posti liberi su cui il personale già in servizio avrebbe potuto essere trasferito e, dunque, un elemento da far valere in eventuale contenzioso.
IL TERZO PARADOSSO – Roma. Su questa sede, pare che il trasferimento sia un tabù…chissà per quali inconfessabili ragioni (sarà l’ “influenza” dei Palazzi della politica?). Sebbene la provincia conti un numero di uffici postali senza eguali, pochissimi posti sono stati dichiarati disponibili per le mansioni di portalettere e sportellista mentre addirittura nessun posto per quello di specialista consulente finanziario (livello b). Perchè? Ai Sindacati sta bene così?
L’ACCORDO “PONTE” DEL 13 GIUGNO 2018 – La natura “farsesca” del contenuto degli accordi collettivi che disciplinano il tema di nostro interesse è appalesata, in maniera paradigmatica, dall’Accordo sindacale del 13 giugno 2018 con cui Poste si è obbligata allo scorrimento, nei 15 giorni successivi (e cioè entro il 28 giugno 2018), delle vigenti graduatorie per la mobilità provinciale (che erano datate 2017 e che, in molte province, non erano state ancora scorse). Ci risulta che Poste, in maniera del tutto sfacciata (probabilmente forte di una “connivenza” di fatto del Sindacato), in alcune (forse molte) province abbia deliberatamente aspettato il decorrere del termine previsto (28 giugno 2018) per poi procedere a trasferimenti senza tener conto delle graduatorie. Sarebbe mai potuto succedere in altro settore pubblico (pensiamo, ad esempio, a quello dell’Istruzione) o privato (ad esempio in quello metalmeccanico), senza che Sindacati e lavoratori inscenassero veementi (e finanche violente) proteste? Evidentemente, no. Ma in Poste italiane tutto è possibile…è “un mondo a parte”: Sindacati gabbati e contenti (o conniventi?), e lavoratori inermi che aspettano la manna dal cielo (che, puntualmente, non arriva mai).
SOLUZIONI – Al fine di rendere effettiva la tutela dei lavoratori postali che aspirano ad essere trasferiti, ci permettiamo di suggerire un duplice piano di intervento. Sul piano sindacale, il lavoratore può incanalare il proprio consenso nei confronti di sigle che vogliano effettivamente battersi per adottare regole più certe e stringenti in tema di definizione dei fabbisogni di personale ai fini della determinazione dei posti da rendere disponibili per la mobilità. Sul piano più squisitamente giuridico, con l’ausilio del proprio legale di fiducia (meglio se sganciato da logiche sindacali ed indipendente), il lavoratore dovrebbe valutare l’opportunità di attivare un contenzioso giudiziale (per esempio, ma non solo, in relazione al mancato scorrimento delle graduatorie provinciali del 2017 reso obbligatorio dall’accordo del 13 giugno 2018) dal momento che, anche nel contesto descritto, esistono comunque strumenti di tutela che possono essere fatti valere in giudizio.

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