E che effetto le fa? «Di grande gioia. Portare pace anche attraverso un francobollo è un modo di riscattare il mio passato oscuro. Che non sento più appartenermi, ma che non posso ignorare. E mi fa male». Così ha risposto Marcello D’Agata a chi gli ha chiesto di commentare la notizia che diverrà ufficiale fra tre giorni: e cioè che due dei suoi quadri, una Natività e una Annunciazione, sono stati scelti dall’Ufficio filatelico del Governatorato della Città del Vaticano per illustrare i francobolli di Natale che verranno emessi il 9 novembre in presenza dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini. Con una cerimonia che si terrà nel carcere di Opera.
Dove Marcello D’Agata da oltre un quarto di secolo sta scontando l’ergastolo per reati di mafia. Ergastolo ostativo, tecnicamente. Quello con la scritta ufficiale sul foglio: «Fine pena mai». Eppure. C’è sempre da riscoprire qualcosa degli uomini e cioè di noi quando si scende, si fa per dire, tra i (con)dannati. Per esempio appunto i francobolli, partendo dal piccolo. Perché in questo tempo che parla (quasi) solo a chi è online, dice ti amo (quasi) solo in Whatsapp e governa comunque i popoli con un tweet è rimasta un’unica classe sociale - collezionisti a parte - a sapere ancora che i francobolli esistono. Ed è la classe dei carcerati. Una città di poco meno di 60mila abitanti in Italia. Gli ultimi cittadini dell’Occidente che per chiedere a qualcuno «come stai» devono ancora prendere carta e penna, scrivere, imbustare. E affrancare, già.
Sarà anche per questo che ha avuto un certo seguito tra diversi di loro, sparsi un po’ qua e là, un protocollo intitolato «Filatelia nelle carceri» siglato ancora nel 2013 tra Ministeri della Giustizia e dello Sviluppo economico con Poste italiane, Unione della stampa filatelica e Federazione delle Società filateliche italiane. A monte c’era già stato tre anni prima un progetto-pilota nel carcere di Bollate ad aver dimostrato l’efficacia - una volta di più - di programmi basati sulla cultura, l’arte e la bellezza ai fini del recupero personale e sociale di chi sta in galera. L’allora presidente della Federazione Danilo Bogoni - tra i firmatari del protocollo insieme con Luigi Pagano in quel periodo era vicecapo dell’Amministrazione penitenziaria in Italia - si impegnò personalmente a seguire il Gruppo filatelico che nel carcere di Opera riunisce oggi dodici detenuti dalla categoria «As1», alta sicurezza. Riunione settimanale ogni lunedì.
Il risultato sono state diverse collezioni, dalla prima realizzata in occasione di Expo 2015 a quell’altra inaugurata l’anno dopo dal cardinale Angelo Scola. E il disegno di un carcerato di lunga pena quale Matteo Boe, uscito da Opera l’anno scorso dopo avere scontato i 25 della sua condanna fino all’ultimo, era già stato trasformato in francobollo sempre nel 2015 dal Ministero dello Sviluppo economico. Ma con Marcello D’Agata è la prima volta che il Vaticano sceglie addirittura due dipinti di un ergastolano ostativo quali soggetti per altrettanti francobolli speciali da emettere per Natale come Stato di San Pietro: il cui simbolo con le famose chiavi (del Paradiso) stampato in alto a destra appare qui più significante di quanto non sarebbe una intera conferenza.
La scelta di un carcerato come pittore del Natale ha inteso riconoscere da parte della Santa Sede, più dell’aspetto artistico pur non privo di una sua rilevanza, il compimento di un percorso. A prescindere dall’aspetto giudiziario, qui neppure toccato. Come dice Mauro Olivieri, direttore dell’Ufficio filatelico e numismatico del Governatorato del Vaticano: «Affidare la realizzazione dei francobolli di Natale a Marcello D’Agata è stato un segno di speranza, fiducia e fede nel prossimo e nella sua possibilità di comprendere il male fatto e di recuperare. Sono proprio gli ultimi degli ultimi quelli che, secondo l’insegnamento di Gesù, meritano la nostra attenzione». Già lo scorso luglio D’Agata, attraverso le sue figlie, aveva fatto pervenire a papa Francesco due suoi dipinti tra cui un Crocifisso. L’ispettore generale dei cappellani dell’Amministrazione penitenziaria, don Raffaele Grimaldi, con una lettera da Roma gli fece sapere che il Papa non solo aveva «apprezzato il suo dono» ma sottolineava che «creare opere d’arte» può portare «attraverso il linguaggio della bellezza una scintilla di speranza e fiducia proprio lì dove le persone sembrano arrendersi all’indifferenza e alla bruttezza». «Qualcosa è scattato in me - ha raccontato lui - in occasione del Giubileo della Misericordia, quando papa Francesco concesse ai detenuti la facoltà, per la prima volta, di attraversare la Porta Santa e ottenere con l’indulgenza plenaria la “certezza del perdono”. Da lì - dice - ho cominciato a prendere in mano i pennelli». Nella lettera che le sue figlie avrebbero consegnato al Papa più avanti scrive tra le altre cose che «il passaggio della Porta Santa vissuto nella più totale solitudine, Santità, è stato un momento emozionantissimo, difficile da descrivere. Esso mi ha ridato quella vita e quella gioia perse quando, convinto da un falso maestro, avevo lasciato che il male si impadronisse di me».
Poi eccolo «ringraziare le due persone straordinarie, la professoressa Chiara Mantovani e suor Maria Stella De Marchi, che mi hanno accompagnato in questo percorso artistico di crescita personale e spirituale»: che «mai avrebbe avuto uno sbocco senza il sostegno dell’Amministrazione penitenziaria e della Direzione dell’Istituto di Opera». Proprio all’Amministrazione ha regalato uno dei suoi quadri più grandi, un gigantesco Albero della conoscenza del bene e del male. Dice che della sua «precedente vita» gli sono rimasti quattro piccoli quadretti fatti da ragazzo: ora ce li hanno le figlie. C’è voluta una «altra vita» in carcere prima di ritrovare quella passione. «Quando mi trovo a dipingere - dice - è come se mi guardassi allo specchio. Nella pittura riverso tutte le mie emozioni, per permettere a ciò che ho imprigionato dentro di uscire fuori. E quando non posso dipingere amo sognare a occhi aperti. Il solo modo di arrivare in luoghi per me irraggiungibili». Cita la frase di Maria all’angelo per descrivere non solo l’attimo ma l’atteggiamento di vita che ha inteso rappresentare in quella sua Annunciazione che da venerdì sarà un francobollo del Vaticano: Avvenga di me quello che hai detto. «Il mio augurio - conclude - è che il francobollo porti nel mondo un segno di pace. E ringrazio tutti coloro che hanno permesso anche a me di dare un messaggio finalmente positivo nei confronti della società civile».
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